Siamo in un Comune dei Lessini Orientali, Selva di Progno, nei primi anni Cinquanta. E’ tempo di votazioni politiche. Il Comune ha il capoluogo, Selva e la frazione Giazza nel fondovalle.
Altre due frazioni, Campofontana e San Bortolo sono disseminate in sparse contrade in alto sui monti. Complessivamente la popolazione arriva ai duemila abitanti I candidati, per lo più democristiani, si fanno vivi in questi paesini per raccogliere pochi voti. Potrebbero benissimo rimanere a casa poiché quasi tutti votano DC. Ma contano le preferenze. E allora si rivolgono anche ai parroci per raccoglierne il più possibile.
A Giazza un candidato ottiene l’aiuto dell’ansiprete, dell’arciprete, il quale manda in giro per le contrade due giovani maestre ad insegnare come votare. Alla fine del giro vorrebbe rimandarle per le case a sostituire una preferenza. Forse il nuovo arrivato gli ha dato maggiori garanzie per un contributo con il quale aggiustare il tetto della chiesa. Ma le due insegnanti si sono rifiutate di accontentarlo. A Giazza, eccezionalmente, una contrada intera vota comunista o socialista.
A Selva il parroco si meraviglia di vedere due voti per il partito liberale. Nell’omelia dice che non ha mai visto generosa liberalità verso la chiesa da parte di qualcuno.
A San Bortolo, la frazione con il maggior numero di votanti, il seggio, come dappertutto, è aperto nella scuola elementare. Lo presiede un avvocato che ha nominato segretaria sua madre che, poverina, non è in grado di scrivere i verbali. I votanti non esibiscono un documento poiché sono gli scrutatori loro compaesani a garantirne l’identità. Mentre i presidenti degli altri seggi hanno consegnato in municipio i risultati degli scrutini e tutto il materiale intorno alla mezzanotte del lunedì, alle cinque del mattino successivo da San Bortolo non era arrivato nulla se non la richiesta di soccorso.
Il segretario comunale ha pregato i presidenti di Campofontana e Giazza a correre in aiuto del loro collega. Arrivati sul posto trovano l’aula malamente illuminata da due lampadine pendenti dal soffitto. La corrente elettrica, che proveniva dalla centralina di Selva, era troppo scarsa per renderle incandescenti. Gli scrutatori stanchi, assonnati, con la testa ciondolante sui tavoli, hanno un sussulto di sollievo alla vista dei nuovi arrivati. Il presidente, spossato anche lui, manovra incerto sui mucchietti delle schede. Sul pavimento giacciono quelle bianche e quelle nulle.
I soccorritori trascurano quelle valide e passano ad esaminare quelle bianche. Non sono bianche! Portandole vicino agli occhi ed osservandole contro la fioca luce, intravedono il luccichio del segno lasciato dal votante o dalla votante sulla croce dello scudo crociato con la matita copiativa. Un segno di croce sulla croce, senza oltrepassare i confini. I presidenti di seggio spesso facevano legare al ripiano della cabina la matita con uno spago perché non andasse perduta. Talvolta capitava che qualche elettore, mandriano di professione, si portasse via il lapis. Gli serviva per scrivere la data sul formaggio ancora umido. Siccome il numero delle matite restituite doveva essere lo stesso di quelle ricevute, si rimediava rompendo una matita in due.
Aldo Antoniolo insegnava nella scuola elementare di Selva di Progno a metà degli anni Cinquanta del secolo scorso. Era un bravo maestro e anche un cittadino attivo interessato alla vita politica.
Come sindacalista si presentò nella pausa pranzo, di mezz’ora, ad una quarantina di operai stagionali che lavoravano per il Corpo Forestale a Campobrun a riparare la strada, da Passo Pertica al rifugio Scalorbi. Nel giro di un quarto d’ora li iscrisse tutti alla Cigielle. Proveniva dal Partito Comunista, dal quale si era allontanato dopo la brutale aggressione dell’Unione Sovietica all’Ungheria. Il suo spirito intraprendente lo portò ad occuparsi delle elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale.
In concorrenza con quella della DC creò una lista civica, che portava il simbolo di un orologio a sveglia. Esplicito invito a cambiare aria. C’era bisogno di gente nuova che sapesse superare l’angusto campo dei problemi locali legati in maggior parte all’allevamento del bestiame. Il vecchio Consiglio si era rifiutato di partecipare al Consorzio dei Comuni della Valle per l’asfaltatura della strada. “Le vache le sbrissia”, “le vacche scivolano”, aveva detto un consigliere.
E la strada venne asfaltata soltanto fino a Badia Calavena, il Comune sei chilometri a sud nella valle. La lista dell’orologio vinse le elezioni. Ma il suo promotore venne lasciato fuori. I vecchi consiglieri non lo avevano in simpatia e riuscirono a farlo trasferire d’ufficio. Per incompatibilità ambientale.
Alla vigilia di Natale, poco prima della mezzanotte, Aulo Crisma, collaboratore di “Inchiesta” e padre di Amina, ci ha lasciati, in punta di piedi, addormentandosi senza più svegliarsi . Era a Tencarola (Padova), dove risiedeva da vent’anni, con la sua famiglia e oggi avrebbe festeggiato, come sempre, il Natale con Marco, Maristella, Luca, Irene e Davide. Pochi giorni fa aveva mandato a www.inchiestaonline.it il suo ultimo pezzo, in memoria di un sindacalista, maestro elementare in Lessinia negli anni ’50. Sempre pochi giorni fa, aveva dimostrato per l’ennesima volta, nella revisione di un libro, il suo occhio infallibile di correttore di bozze, che non gli era mai venuto meno, il gusto artigianale del lavoro ben fatto che continuava a dimostrare in tante cose che faceva. Aveva 93 anni.
Era nato a Parenzo nel 1927, dove si era diplomato alle magistrali nel 1945. Nella prima foto Aulo è con i suoi fratelli e nella foto successiva è il bambino in basso a sinistra che ride
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Nel 1946 aveva lasciato l’Istria come esule, e aveva fatto il maestro elementare [vedi foto con una sua classe] in provincia di Verona, prima a Giazza, dove si era sposato con la collega Maria Dal Bosco [vedi foto del matrimonio] , e poi a Selva di Progno, paese dove ha risieduto fino al 2000, dove ogni anno tornava d’estate, e di cui gli era stata attribuita la cittadinanza onoraria.
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E’ stato un attivo animatore culturale, dirigendo il locale Centro di lettura, divenuto poi Centro sociale di educazione permanente. E’ stato per molti anni corrispondente del quotidiano L’Arena di Verona. Ha collaborato con la rivista “In Strada Granda”, semestrale di memorie istriane, e con la rivista “Cimbri/Tzimbar” dove ha pubblicato numerosi lavori di ricerca e documentazione sulla storia dei Cimbri, popolazione di origine tedesca che si era insediata sui Monti Lessini verso la fine del XIII secolo, e che ancora manteneva vivo nell’enclave di Giazza l’antico idioma altotedesco. Nel 2001 è stato eletto Gran Massaro dei Cimbri Veronesi. Ha fatto parte del Direttivo provinciale del Sinascel, sindacato nazionale della scuola elementare.
Ha pubblicato con Remo Pozzerle “Guardie e contrabbandieri sui Monti Lessini”, “Le stagioni del grano sui Monti Lessini” (Ed. Taucias Gareida, 1990; “Lessinia, una montagna espropriata” (HIT Edizioni, 1999). Ha pubblicato inoltre “Bar lirnan tauc’: Noi impariamo il cimbro”, Ed. Curatorium Cimbricum Veronense,2001; “Parenzo, gente, luoghi, memoria”, Ed. Itinerari educativi del. Comune di Venezia, 2012; “Dieci anni con i cimbri”, Bussinelli 2017.
La sua collaborazione a Inchiestaonline, dove ha pubblicato cinquantacinque articoli, era iniziata nel 2014. Una sua caratteristica è la sobrietà del suo stile di narratore, la sua speciale capacità di rievocare intensamente e nitidamente, senza retorica, senza risentimenti e senza sentimentalismi, i microcosmi incontrati nel corso della sua esistenza, con l’ attenzione rivolta ai fatti, ai personaggi, agli ambienti ignorati dalle Grandi Narrazioni.
Nel 2016 Maria Dal Bosco lo ha e ci ha lasciati e Aulo ha continuato a raccontare le sue storie e a prendersi cura di familiari e amici.
Ci ha lasciato, come un’onda queta, il nostro caro Aulo Crisma, per tutti noi ” EL MAESTRO” faro culturale per più generazioni.
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Arrivò a Giazza nel 1947 proveniente da Trieste,dove si era stabilito dopo l’esodo forzato da Parenzo, sua città natale, passando, dall’azzurro mare d’Istria, al più isolato paese della Lessinia.
E’ accolto dalla gente con grande cordialità e ben si intengra in questa piccola comunità che parla una strana lingua di cui rimane subito affascinato. Insegna nella locale scuola elementare.
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La sua grande disponibilità lo porta a svolgere molteplici attività a favore della popolazione; dà lezioni di matematica agli adulti, aiuta a scrivere lettere, stipula di contratti, lettura di documenti, si improvvisa fotografo ai matrimoni e fa pure le iniezioni.
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Nel 1951 sposa la collega di Giazza Maria Dal Bosco. Lì, nascono i loro due figli. Nel 1957 si trasferisce a Selva con la famiglia. Entrambi insegnano nella locale scuola elementare. Nell’arco di 30 anni ebbe modo di istruire, educare e formare più generazioni.
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Ne parlo con particolare affetto perché fu il mio MAESTRO, colui che non solo ci insegnò quanto previsto dai programmi scolastici, ci diede molto di più, infondendoci valori etico-morali e interessandoci, con il suo metodo di fare scuola, alle varie materie, tirando fuori da ciascuno di noi potenzialità, altrimenti mai valorizzate. Ci spronò alla curiosità del fare e del sapere, attraverso piacevoli pedagogiche esperienze, quali il teatro, la pittura, l’intaglio, il mosaico, la lettura collettiva, la stesura di un giornalino, l’elezione all’interno della classe delle cariche di sindaco, vice-sindaco, ognuno con le sue responsabilità. Bellissime le lezioni all’aperto per eseguire esperimenti scientifici sul campo.
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Grandissima l’attività culturale messa in piedi sul territorio: Centro di lettura che comprende gite culturali e Cineforum; Corso di scuola media per adulti; Fondazione del giornalino ” Roasan ‘un pergan” e “Sanselgia”; nel 1961 mette in piedi una filodrammatica nella quale recitano i ragazzi del paese;
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E’ direttore del Patronato Scolastico e attiva servizi di refezione, doposcuola, servizio trasporto e libri gratuiti per i meno abbienti.E’ pure giudice conciliatore e corrispondente del giornale “L’Arena”.
Si dedica con passione alla cultura cimbra; collabora con l’ass. Curatorium Cimbricum Veronense e scrive articoli sulla rivista “Tzimbar”. Numerose le sue pubblicazioni, tra cui: ” Bar lirnan Tauc’ ” Gli stemmi comunali dei paesi cimbri”- Lessinia una montagna espropriata ” – Guardie e contrabbandieri sui monti Lessini. Nel 2012 pubblica ” Parenzo” dedicato alla sua terra natia. Nel 2018 esce “Dieci anni con i Cimbri” ricordi degli anni trascorsi a Giazza.
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Alla bella età di 93 anni, è più attivo che mai, il suo ultimo articolo e solo di 20 giorni fa.
Ci sentivamo spesso, l’ultima volta qualche ora prima che se ne andasse… Ci vedremo a Selva… le sue ultime parole.
Se n’è andato, ma solo fisicamente, un grande uomo, il suo ricordo rimarrà vivo attraverso le sue azioni, i suoi insegnamenti, i suoi libri.
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BARSEGANUS MAI LEARAR, DAIN GADENKHE BOLAIBAT LENTAK IN ALJAN BARANDRE – ARRIVEDERCI MAESTRO MIO, IL TUO RICORDO RIMARRA’ VIVO IN TUTTI NOI.
Qualcuno ha detto che il silenzio è un attributo della perfezione. Ma forse vale il rischio di sfidare la perfezione e raccontare, comunque vada.
Raccontare di Aulo.
Raccontare un lembo, un frammento di lui, ché afferrarne l’insieme per me è impossibile. E quel lembo, quel frammento è la sua semplicità, senza aggettivi, senza attributi. Essa è un imprinting, una cifra, un atteggiamento che attraversa tutta la sua figura. Non soltanto la sua scrittura, che sarebbe riduttivo crederlo. Il suo porsi avviene all’insegna di questa semplicità, sempre: nel tono della voce, nella scelta delle parole, nel loro accostamento, nello stesso modo di porle; nella sua gestualità, serena, signorile, partecipe, misurata; nel suo sguardo diretto, limpido, sorridente, affettuoso.
La sua semplicità, però, senza negare se stessa, esplora luoghi e persone, fa partecipi noi senza che ce ne accorgiamo. Aulo ti racconta – a voce o per iscrittto – di una persona, di un luogo, di un fatto: reali, realissimi, esperiti, vissuti. La sua missione, però, non si conclude lì perché quando leggi e ti appaiono davanti agli occhi uomini, donne, preti, contadini, pescatori, fornai, partenze e arrivi, la via Carducci, l’osteria “Tre Garofoli” … subito, senza avvedertene egli ti parla di qualcos’altro. L’uomo, la donna, il prete… sono lì, come dire, in carne e ossa, è di loro che Aulo si occupa, di persone concrete, di fatti reali, ma dentro di te succede qualcosa per cui vieni portato in un altrove che non cessa di essere governato dalla semplicità perché tutto e senza resto immerso nel senso umano della vita. E questo altrove contempla un universo etico che lui ti propone in silenzio, sommessamente, con la sola forza della sua disponibilità interiore, col solo strumento del raccontare, con l’enorme peso della testimonianza. Questo altrove è impastato di una silenziosa psicologia tanto più profonda quanto più resa con il linguaggio di tutti i giorni, quello che si usa con la gente comune: la sola psicologia possibile. E questo altrove è anche nella sottile ironia rispettosissima, mai pungente, intelligentissima. Umana, appunto.
Non c’è voluto molto: è bastata la lettura degli ultimi suoi due libri e degli articoli pubblicati su inchiestaonline. E alcuni pomeriggi estivi, lì a Selva, mentre il sole tramontava dietro i monti che nascondono Velo Veronese.
Il giorno 30 dicembre 2020 nella chiesa di Giazza (Verona) c’à stato il funerale di Aulo Crisma. Questo è il discorso pronunciato da Antonia Stringher.
Mi pare strano essere qui a ricordare il maestro, forse lo credevo immortale…
Per raccontare cosa esso abbia rappresentato sotto l’aspetto culturale e non solo, per le comunità di Giazza e Selva, non basterebbe un giorno. Arriva a Giazza nel 1947, appena ventenne proveniente da Trieste con l’incarico di insegnare nella locale scuola elementare.
Un salto non da poco, passare dall’azzurro mare di Parenzo , al verde del più sperduto paesello della Lessinia, dove la gente parla una strana lingua…
L’ accoglienza dei Cimbri, solitamente guardinghi verso i foresti, è grande! Ben presto, si integra nella piccola comunità diventando, per la sua grande disponibilita’, importante punto di riferimento: chiunque abbia qualche necessità, un quesito da risolvere, una lettera da scrivere, un contratto da stipulare, si rivolge al maestro. Nel frattempo si sposa con una collega di Giazza e avranno due figli. Rimane a Giazza dieci anni per trasfersi poi con moglie e figli a Selva dove entrambi insegnano.
Lo ricordo con particolare affetto perchè fu il mio maestro. Con il suo modo di fare scuola ( era avanti di almeno 30 anni) ci ha spronati a diventare curiosi del sapere facendo sì che questo processo di apprendimento continuasse nel corso della vita intera. Con lui, si andava a scuola con entusiasmo, sicuri che ogni giorno, ci veniva proposto qualcosa di piacevole e creativo da fare, facendoci imparare attraverso l’esperienza. Come non ricordare le bellissime lezioni all’aperto, su per l’ Ongiar o al Sciopeter a sperimentare la sintesi clorofilliana, riconoscere fiori e piante e anche insetti . Come ben ricorda il suo allievo Silvio Bonamini “ L’è sta el nostro Piero Angela”.
E’ stato un faro culturale per più generazioni se solo pensiamo alle molteplici attività che mise in piedi a favore della scuola e della popolazione tra le quali :
Centro di lettura dove sono coinvolte anche le famiglie con il prestito dei libri ; Collabora con Sant’ Andrea e Giazza all’attivazione di un corso di scuola media per adulti , peraltro frequentatissimo; Si impegna nel sociale coprendo l’incarico di giudice conciliatore; E’ corrispondente locale del giornale “ L’Arena”. Nel 1961 mette in piedi una filodrammatica, nella quale , con grande entusiasmo , recitano i giovani del paese. E’ autore, scenografo, regista. Chi non ricorda le commedie del maestro, alle quali, per la gioia degli spettatori, seguiva sempre una farsa. In qualità di direttore del Patronato Scolastico aiuta le famiglie attivando il servizio mensa, il tempo pieno, il servizio di trasporto e libri gratuiti per i meno abbienti. Non manca di dedicare un occhio allo sport, promuovendo la costruzione del campo da tennis. Svolge quindi, un ruolo di grande educatore, coinvolgendo ragazzi e ragazze in sane attività creative.
Attento alla cultura locale, scrive innumerevoli articoli sulla cultura cimbra e pubblica vari libri, l’ultimo, bellissimo, “ Dieci anni con i Cimbri” un vivace affresco degli anni passati a Giazza, presentato anche in questa chiesa un paio d’anni fa.
Caro maestro, faremo tesoro della tua grande eredità culturale e desidero salutarti nella lingua che udisti, per la prima volta, quel lontano 1947, al tuo arrivo a Giazza:
Mai liapan learar, du pist gabest for barandre an groazzan mann, un alje henbar pit-a- diar an groazza schulje ‘un borkhenja. ‘Un diar, s’ist kangat hin dain rinte ma dain seal lebat pa dain puachar un dain galeara. Dain gadenkhe bolaibat hörtan lentak in aljan barandre! Barseganus, learar bar boutadi bou.
Mio caro maestro sei stato per noi un grande uomo e tutti abbiamo con te un debito di riconoscenza. Di te, se n’è andata la scorza ma la tua essenza vive attraverso i tuoi insegnamenti e i tuoi libri. Il tuo ricordo rimarrà sempre vivo in tutti noi. Arrivederci maestro, ti vogliamo bene.
Pubblichiamo il discorso tenuto da Aldo Gugole al funerale di Aulo Crisma nella chiesa di Giazza (Verona) il 30 dicembre 2020.
Sono rare le persone che incontri nella vita con qualità simili a quelle del maestro Aulo Crisma. E se hai modo di incontrarle, vivi la consapevolezza di aver avuto una grande fortuna. Ha dedicato la sua vita alla famiglia all’insegnamento, non solo quello scolastico tradizionale, ma con metodi innovativi per il tempo, adeguati alla nostra realtà, atti a valorizzare la nostra cultura, le tradizioni gli usi e costumi.
Aulo aveva il carattere e l’entusiasmo di un giovane anche a 90 anni, aveva il pregio oggi quasi sconosciuto dell’ascolto partecipe ed interessato rivolto a chi dialogava con lui. Una modestia impareggiabile tale da non mettere mai in mostra il suo sapere, volendo stabilire una parità con qualsiasi interlocutore.
Con queste sue qualità riusciva a catturare l’interesse dei ragazzi, dei giovani in particolare che lo seguivano in qualsiasi progetto nuovo di apprendimento, di divertimento ed anche sportivo. Tutto questo insieme di valori, va a spiegare le tante iniziative avviate e portate a termine con successo sia che riguardassero i cimbri di Giazza che i viaggi che organizzava al mare con visite a monumenti chiese e musei.
In particolare voglio ricordare il centro di lettura di Selva da lui avviato, aperto tutte le sere per anni. Un ritrovo per tutti i giovani del paese e contrade al quale nessuno voleva mancare. Un laboratorio di insegnamento di gioco di preparazione di recite di drammi e commedie che poi venivano rappresentate anche fuori paese. Questi incontri sostituivano il filò di una volta, con l’aggiunta dell’apprendimento. Per coloro che non avevano conseguito il diploma di terza media organizzava corsi serali e faceva preparare dai ragazzi i testi con una ciclostile Grestner (tipo l’attuale fotocopiatrice) avuta da qualche benefattore. La stessa macchina veniva utilizzata per preparare il giornalino Sanselgia (S. Andrea-Selva-Giazza), storie di orchi e fate, programmi e volantini.
Un’altra sua iniziativa è stata quella di creare un gruppo di lavoro munito di picconi, badili e carriole con l’intento di spianare il terreno dietro la scuola elementare, costruire i muretti e la recinzione al fine di realizzarvi un campo da tennis tuttora esistente. Utilizzando il tempo dopo lavoro, il sabato e qualche domenica, quest’opera è stata portata a termine senza alcun contributo. Il salario pattuito, deciso dal maestro Aulo, stabiliva che le ore di lavoro impiegate sarebbero state compensate con altrettante di gioco gratis. Questa e tante altre iniziative rappresentano in parte la figura del maestro Aulo.
In questi giorni ho notato una strana coincidenza: l’anno scorso la Vigilia di Natale ci ha lasciato Don Ettore, parroco di Selva e Giazza per 24 anni. Quest’anno sempre alla Vigilia ci ha lasciato Aulo, entrambi passati a miglior vita durante il riposo. Altra coincidenza: quando sono andati via definitivamente da Selva, a nessuno di essi è stato riservato un doveroso commiato di ringraziamento per la loro missione ed attività svolta per tanti anni. Il maestro Aulo addirittura, poco dopo gli è stata tolta la residenza per futili motivi. Durante la mia amministrazione su richiesta di tanti suoi amici, abbiamo cercato di rimediare, organizzando una festa per conferirgli la cittadinanza onoraria di Selva di Progno. Questo è stato da lui molto apprezzato e ne andava fiero. Per questa mancanza di rispetto porgo le mie scuse e quelle di tutti i cittadini che tanto gli hanno voluto bene ad Aulo e alla sua famiglia.
In questo momento mi piace pensare che, oltre che con il corpo, sia qui presente tra noi con lo spirito, che ci guarda con il suo gioviale sorriso e dica come faceva di solito “ma lasciate stare, sono stato bene con voi e vi ringrazio per essere qui”. Concludo ricordando il suo modo solare di vivere e di essere, la sua innata disponibilità che ci ha sempre dimostrato, fa si che oggi lo sentiamo ancor più vicino a noi tutti. Siamo consapevoli che lui ci ha voluto un bene infinito e noi abbiamo voluto bene a lui. Lo portiamo nei nostri pensieri e vive nei nostri cuori.
Maestro Aulo un grazie di cuore infinito, un abbraccio affettuoso ai figli e nipoti per avercelo riportato in questa nostra terra che tanto ha amato ed alla quale lui, con tanto amore, ha saputo ricambiare valorizzandola.
Pubblichiamo il discorso di Vito Massalongo, del Curatorium Cimbricum Veronense, al funerale di Aulo Crisma nella chiesa di Giazza (Verona) il 30 dicembre 2020.
In questo anno 2020 nel quale abbiamo tutti vissuto momenti di solitudine e paura , in questo anno difficile diamo il saluto ad un carissimo amico e collaboratore: Aulo Crisma.
Vorrei sintetizzare almeno tre momenti della sua lunga vita.
Il primo: L’esilio
Il secondo:La scuola
Il terzo: L’ambiente della nostra montagna
L’esilio: Parenzo, la guerra, la deportazione, lo sradicamento dalla propria famiglia, la casa, il lavoro, le speranze. Tutto questo viene strappato, eliminato.
Bisogna cercare una terra ospitale, una casa, trovare qualcosa a cui aggrapparsi.
Per Aulo, un dramma.la fine della propria giovinezza a Porec. Via come Abramo in una terra nuova. Con niente.con La fame e le lacrime.
Grazie Aulo
La scuola, Giazza.
Una terra nuova, un angolo di mondo. Un buco dimenticato. Acqua gelida per lavarsi in canonica, una scuola piccola e angusta, con calcinacci che si staccano dal soffitto. Bimbi che con i loro sguardi chiedono pane e sapere. E qui la terra diventa ospitale. Una moglie dei figli. Una casa. Un lavoro sicuro. La pace che nasconde il rimpianto di una vita che non c’è più.
La scuola che diventa vita, comunità che cresce nella cultura e nell’affermazione della propria storia, con le attività per tutta la comunità. Teatro, patronato, sidacato, ricerca, lingua, cultura. E qui Aulo dimostra di essere un vero uomo. Una Provvidenza.
Grazie Aulo
L’ambiente, la Montagna.
La ricerca di senso per questa terra,la ricerca di storie e tradizioni. La cultura e la sapienza di un popolo che recupera la propria identità, la propria dignità.
Ed è opera anche sua e di tanti suoi colleghi, Piero, Carlo, Gianni , Primo Antonio e tanti altri.
Aulo Crisma è vivo nei suoi scritti. Abbiamo così ripubblicato i suoi testi scritti per www.inchiestaonline.it (più di cinquanta testi) nella “categoria” alla destra della pagina sotto il titolo “Aulo Crisma e la rivista Inchiesta”. E’ così possibile cliccando su quella scritta leggere, raggruppati, sia gli scritti di Aulo che i ricordi su di lui.
Aulo ha iniziato a scrivere su www.inchiestaonline.it il 26 ottobre 2014 ( “Profughi del Bangladesh a Giazza”) e l’ultimo lo ha pubblicato il 15 dicembre 2020 (“Ricordo di un sindacalista maestro elementare a Selva di Progno”).
Aulo è stato un grande narratore e un acuto e ironico osservatore di quanto accadeva sia nel passato che nel presente. Ha così in questi testi fatto rivivere personaggi e situazioni lontane di Parenzo e di Giazza/Selva di Progno osservando con ironia e amore per la vita anche le cliniche e gli ospedali che ha dovuto frequentare (“Viaggio nel servizio sanitario” del 22 dicembre 2019).
Ricordo di Aulo Crisma sulla rivista Cimbri/Tzimbar
E’ dedicato alla memoria di Aulo Crisma, padre di Amina e redattore di Inchiesta, a un anno dalla sua scomparsa avvenuta a Tencarola (Padova) la vigilia di Natale del 2020, il n. 62 della rivista Cimbri/Tzimbar (anno XXXIII, 2021) del Curatorium Cimbricum Veronense, di cui egli è stato a lungo collaboratore. Il presidente del Curatorium, Vito Massalongo, ne traccia il ricordo, rievocandone sinteticamente la vita in Lessinia, nel veronese, dove era arrivato esule dalla natia Parenzo in Istria dopo la seconda guerra mondiale, l’attività di maestro elementare, di cronista e di animatore culturale a Giazza e a Selva di Progno, le molteplici ricerche intorno alla storia e alla lingua locale, le pubblicazioni (dal manuale per l’apprendimento del cimbro illustrato dal nipote Luca alle indagini condotte insieme a Remo Pozzerle sulle terre comuni e sulle vicende dei contrabbandieri), il rapporto con l’ambiente di montagna che è stato per la maggior parte della sua esistenza la sua nuova casa, l’attenzione alle microstorie distanti dalle Grandi Narrazioni che ha ispirato i racconti contenuti nei suoi libri autobiografici Parenzo, gente, luoghi, memoria (2012, accessibile anche in versione online) e Dieci anni con i cimbri (2017). Quelle pagine riflettono il suo speciale gusto narrativo di cui Tzimbar pubblica un significativo esempio, “Storia di una votazione a San Bartolomeo delle Montagne nei primi anni Cinquanta”, e di cui anche su Inchiesta sono apparse nel corso del tempo numerose espressioni.
Viene inoltre pubblicato il discorso di commiato tenuto da Vito Massalongo al funerale di Aulo nella chiesa di Giazza il 30 dicembre 2020, che è visibile, insieme alle orazioni funebri pronunciate in quell’occasione da Antonia Stringher e da Aldo Gugole, suoi ex scolari, e a un ricordo scritto da Aldo Ridolfi, nella sezione “Aulo Crisma e la rivista Inchiesta”, che ospita svariati altri materiali e documenti.
Ringraziamo tutti questi amici, e tutte le persone che lo hanno incontrato, e che contribuiscono a custodirne la memoria.
Una memoria che non si dissolve: Ettore Castiglioni
Ettore Castiglioni, di famiglia milanese, nasce nel 1908, si laurea in giurisprudenza, è redattore e autore di guide alpine per il CAI-TCI. Grande arrampicatore, apre più di duecento nuove vie. Vive spesso a Tregnago (VR) dove la famiglia possiede villa Adelia. Durante la guerra accompagna clandestinamente antifascisti in Svizzera attraverso le Alpi. Per questo è riconosciuto come “Giusto dell’Umanità”. Muore in una tormenta di neve nel 1944. Riposa nel cimitero della “sua” Tregnago.
Usciamo di buon mattino dall’albergo e guardiamo verso l’ampia testata della Valmalenco, in provincia di Sondrio. La pioggia notturna ha lasciato spazio ad un ampio rasserenamento ma anche ad un vento insistente, fastidioso. Intendiamo salire al Passo del Forno che mette in comunicazione l’Italia con la Svizzera. Da lì passa il confine di stato. Dall’altro versante Maloja, un valico e un villaggio. La geografia politica è una convenzione ma l’orografia, la geografia fisica sono un continuum senza pause, senza iati.
Guardiamo in alto, alla ricerca di un punto che è insieme topografia e storia, senso della vita e senso del “politico”, spiritualità e fisicità unite indissolubilmente. A compiere questa sintesi meravigliosa tra spirito e materia è un uomo, Ettore Castiglioni, nato nel 1908, «laureato in legge, perfetta conoscenza di quattro lingue, impareggiabile compilatore di guide alpine, medaglia d’oro al valore atletico»: così il suo amico Carlo Negri, vicequestore di Sondrio. Castiglioni era genio che poteva passare dall’arrampicata più impegnativa all’esecuzione di Debussy al pianoforte, dal confronto feroce con le grandinate in parete alla lettura delle poesie di Rilke i cui versi egli definiva «ritmati e melodiosi».
Siamo qui perché Ettore Castiglioni è sepolto a Tregnago, il nostro comune di residenza, in Valle d’Illasi, ai piedi dei Monti Lessini, nel Veronese. E perché la locale sede del CAI è dedicata a lui. E perché conosciamo la sua vita e un poco anche la sua anima. E soprattutto perché ci piace intrecciare fili con il passato, rimanere in collegamento con una dimensione ineludibile del vivere e dunque, in qualche maniera, far ritornare alla vita chi sembra essere scomparso. Sono un po’ i nostri discorsi mentre partiamo da Chiareggio. E saliamo, attraversando rade abetaie, verso i 2000 metri di Vezzeda: quattro malghe abbandonate, diroccate, testimoni silenziose di un mondo perduto. Tra le montagne Ettore era solito inveire contro il duce. Lo racconta il nipote Saverio Tutino: «Lo vedevo riempirsi d’aria i polmoni e poi lanciare il grido: “Abbasso il duce!”» Forse lo avrà fatto anche tra queste rocce, tra questi dirupi e forse, nel silenzio assoluto di queste plaghe, se si ascolta con cura, si può sentirne ancora l’eco lontana.
Ad un certo punto l’erta per il Forno diventa impegnativa. Servono gambe buone ed energie fresche per salirci. Castiglioni le aveva. Nel ’44 quando incrociava su questi sentieri diretto a Maloja in Svizzera egli aveva 36 anni, era nel pieno della sua forza fisica e mentale. Conosceva la montagna, sapeva sciare da maestro, aveva missioni importatissime da compiere. Era perfettamente padrone di sé.
Dopo quattro ore di marcia ecco il “pertugio” che segna il passo. Ci affacciamo curiosi: una sassaia immane connota il versante svizzero. Un irriconoscibile sentiero vi è tracciato. Ci piacerebbe percorrerlo, ma sarà per un’altra volta. Immaginiamo che possa esserci un’altra volta.
Anche Ettore Castiglioni lo immaginava, anzi ne era sicuro, quando nel mese di marzo del 1944, per ragioni mai chiarite, superava il confine al vicino Passo del Muretto munito di un passaporto che non era il suo. Scrive Marco Albino Ferrari: «Non possiamo sapere il motivo che lo spinse a recarsi in Svizzera per quel suo ultimo viaggio. Non ci sono né testimonianze, né documenti in grado di darci una risposta certa.» L’anno prima Ettore aveva lavorato instancabilmente al Berio, in Valle d’Aosta, per aiutare ebrei e antifascisti a fuggire in Svizzera. Ora, qui in Alta Engadina, continuava nel ruolo che si era scelto: contrastare il nazifascismo. La sera dell’11 marzo 1944 scendeva al paesetto di Maloja e si recava in un ristorante. Era sospettoso. Aveva buoni motivi per esserlo. Tradimenti e denuncie non si contavano in quei giorni. La sua attività clandestina era certo nota alla polizia.
Infatti arrivarono le guardie, forse su suggerimento dell’oste. Venne arrestato e chiuso in una stanza dell’albergo Longhin, privato di pantaloni e scarponi. Ma durante la notte fuggì e si avviò lungo la valle del Forno: era un gesto temerario, ma Castiglioni sentiva dentro di sé una grande forza e insopportabile gli era la perdita della libertà, la chiusura in una camera di albergo in attesa delle mura di una prigione svizzera, per la seconda volta. Durante la salita venne sorpreso da una tormenta, raggiunse comunque il passo del Forno, lì dove siamo noi. Lo racconta il fedelissimo Carlo Negri: «Sotto pochi metri del versante italiano… l’inclemenza del tempo ebbe ragione della sua pur forte fibra e colà rimase impietrito sotto la neve che incessantemente cadeva.»
Lo rinvennero dopo tre mesi.
Ma Ettore Castiglioni lo possiamo incontrare in ogni momento, spegnendo la televisione – come suggeriva Italo Calvino in Una notte d’inverno – e leggendo i suoi diari pubblicati nel 1993 dalle edizioni Vivalda: Il giorno delle Mésules, a cura di Marco Ferrari.
Rimaniamo a lungo al passo. Ufficialmente per cercare un chiodo da arrampicata fissato sul roccione sotto il quale Ettore era morto. Fatichiamo a staccarci. Forse però la difficoltà di riprendere il sentiero per Chiareggio non è dovuta al mancato ritrovamento del chiodo che segna il punto esatto che fu fatale ad Ettore, ma a qualcos’altro, ad una emozione sottile, ad una speranza impossibile, ad un incontro che può essere solo spirituale…
Alla fine riprendiamo il sentiero. Scendere non è, però, un ritornare sui nostri passi, è se mai un passo avanti verso una mai definitiva comprensione del mondo.
A Chiareggio il Màllero scorre con il suo mormorio sempre uguale, incessante, in certi momenti persino ossessivo: impossibile trovare risposte in quel gorgoglio, né attorno alla terribile siccità di questa estate, né attorno ai destini degli umani.
A distanza di quattro anni dalla scomparsa, esce ora per i tipi de La Grafica editrice questa Bibliografia completa di Giovanni Rapelli a cura di Laura Rapelli. Il volumetto contiene anche brevi ma significativi profili di Rapelli: della stessa Laura, di Marcello Bondardo, di Enzo Caffarelli, di Vito Massalongo e di Giancarlo Volpato, ognuno dei quali illumina una faccia della “complessa semplicità” umana e scientifica di Rapelli.
Il sito che per primo ha accolto la bibliografia è qui sotto indicato:
Forse si potrebbe sostenere, con un po’ di buona volontà, che non vi è, per un lettore, piacere più grande che la lettura di una bibliografia. Egli vi trova, indissolubilmente legati, due aspetti fondanti la civiltà occidentale e forse anche la stessa nostra struttura antropologica: da un lato il bisogno, incoercibile ed ineludibile, di ordine, di precisione, di sistematicità, dall’altro un amore profondo, spirituale e pragmatico insieme. Il primo aspetto è ben evidente nella stessa precisione grafica di una bibliografia, ubbidiente, come mai altro testo è capace, al rigore di una procedura codificata e, nella sua essenzialità, di particolare efficacia. Il secondo è ugualmente palese nello spirito che anima il ricercatore – in questo caso Gianni e Laura assieme – il quale, rovistando nelle carte, rileggendo i contributi, utilizzando il ricordare come strumento mai logoro, accarezzando pagine ingiallite, talvolta fragili, secche, “vecchie”, ostinatamente ricercando quel primo fantomatico contributo, “ricrea” atmosfere, stati d’animo, emozioni. Traccia un percorso. Compila la scheda di una vita.
E allora che cosa c’è di più bello, di più grande, di più amorevole che aver riportato alla luce quella lettera dell’ottobre del 1966 che Gianni aveva inviato a “Vita Veronese”, lettera che, come dire, “apriva le danze” alla ricerca di che cosa c’è negli abissi del tempo e della parola.
E dopo quell’ottobre, per altre 461 voci, ognuno di noi, che abbia o no conosciuto Gianni, è come se gli camminasse accanto. Veniamo così a conoscere una varietà straordinaria di aspetti: i suoi compagni di viaggio, quegli studiosi che lo chiamavano a far parte dei loro staff: Brugnoli, Volpato, Viviani, Rama, Hornung, Sauro, Piazzola… desiderosi di avere nelle proprie curatele un contributo che affondasse uno sguardo linguistico nel passato; possiamo prendere atto delle istituzioni e delle riviste che hanno accolto le sue riflessioni: gli “Atti” della nostra Accademia di Agricoltura Scienze e Lettere, già dal 1974; la “Rivista italiana di onomastica” cui approda nel 1988; la lunga militanza in “Cimbri/Tzimbar” di cui era instancabile correttore e promotore, in continuità con “Terra cimbra” e con “Vita di Giazza e Roana”; l’assidua ed entusiasta partecipazione alle vicende culturali della sua città, testimoniata dalle numerose lettere ai giornali “L’Arena” e “Verona Fedele”; la sua difesa del dialetto non solo per la dimensione popolare (nel senso più nobile del termine), ma anche per la dignità linguistica di cui un idioma dialettale è portatore. E a questo proposito vale la pena di citare il n° 366, La lingua veneta e i suoi dialetti, che si avvale di una Prefazione di G. Volpato il quale definisce quell’idioma «la lingua della famiglia e degli affetti»; il filone storico spesso percorso assieme all’indagine linguistica; le frequenti incursioni come traduttore.
Leggendo quella Bibliografia – che qualche blasfemo osservatore potrebbe definire arido testo – ci imbattiamo in quel Languages of the World, di John H. Koo-Robert e N. St. Clair di cui Gianni aveva, tra l’altro, rivisto «accuratamente le bozze al fine di rilevare errori o omissioni» (p. 33), e che spesso, chiacchierando con gli amici, citava con umile orgoglio e profondo rispetto.
Solo una bibliografia è in grado di concedere uno sguardo “totale” sull’opera di uno studioso. Meglio ancora se si tratta di una bibliografia ragionata, capace cioè di aprire finestre, di consentire collegamenti altrimenti negati, di svelare marginalità essenziali. Essa, per sua natura, mette tra parentesi, anzi ignora, gli aggettivi e si limita ai fatti, nella cristallina coscienza che gli aggettivi verranno poi, indotti ed esigiti dalle opere via via richiamate. E subito, immediatamente, ecco al numero progressivo 4 un contributo di eccezionale levatura che spalanca, sul valore intellettuale di Gianni, una finestra immensa. E’ un articolo, accolto negli “Atti” della nostra Accademia, in cui «le lingue giapponese ed eschimese vengono ricondotte a un’unica lingua comune»! Siamo nel 1971. Tempo qualche anno, l’orientamento linguistico trova conferma quando compare “Sul rapporto tra indoeuropeo e nippoeschimese”: qui davvero si cammina lungo un crinale delicatissimo e altamente specializzato. Anche se molti di noi sapevano di Rapelli fine linguista, solo ora ci arrivano conferme sbalorditive. E tale vocazione trova numerose conferme sia negli studi di onomastica (pietre miliari rimangono i due volumi del 1980 e del 1995 sui cognomi cimbri e veronesi) e toponomastica – i quali, se dovessimo usare un lemma oggi molto di moda, hanno avuto una risonanza “virale”-, sia nelle indagini attorno alle lingue degli Etruschi, dei Reti, degli Hittiti.
Ma, quando mai mi venisse chiesto se, attraverso questa bibliografia, fosse possibile almeno intravedere un poco qual è il filo rosso che mette insieme ogni cosa, il comune denominatore capace di unire articoli diversi tra loro, o, ancora, a cosa mirasse di profondo e di lontanissimo Gianni Rapelli quando meditava nel suo luogo di lavoro (così ben rappresentato nella fortemente metaforica illustrazione di copertina di Michael Grieco), ebbene troverei il coraggio di sostenere che egli, con il suo sorriso, con la sua umiltà, con la sua riservatezza, cercava l’arché di tutte le cose. Infatti nella nota che accompagna la voce n° 38, contributo che indaga la «monogenesi del linguaggio», Gianni e Laura scrivono: «la stessa radice [bat-] compare in un numero talmente alto di lingue del mondo da permettere di ricostruire una delle prime parole formulate dall’umanità»: siamo nei pressi dell’atto di nascita del linguaggio. Potrei continuare ancora. E’, questa, una traccia affascinante da seguire, se si vuole. Ed è traccia sostenuta anche dalla frequenza nei titoli dei contributi ma soprattutto nelle note sottostanti, del lemma “etimologia”, disciplina che rimanda a ciò che c’è prima, che è in origine, ciò che ha costituito il sostrato da cui si è sviluppato il resto. I suoi contributi, ordinati e distesi sul bianco originario di queste pagine, ce lo garantiscono meglio di qualsiasi altra voce a commento.
Infine mi sia consentita una nota personale. Tengo da conto alcune bozze della rivista “Cimbri/Tzimbar” corrette da Giovanni Rapelli. Lo faccio per diverse ragioni, in parte per la loro dimensione scientifica e in parte per un aspetto affettivo. Ma quelle carte consentono un’altra osservazione ancora su Gianni, non meno affascinante delle altre: la sua grafia, le virgole che aggiungeva e il modo di disegnarle, le virgolette alla sergente che tracciava, gli accenti che distingueva tra acuto e grave, la chiarezza di ogni lettera ad alleggerire il lavoro del compositore in tipografia, il nitore calligrafico del segno hanno una valenza estetica di assoluta, metafisica bellezza: amo pensare che quella chiarezza grafica fosse il portato di tanti aspetti della sua personalità, non ultimo la sua indimenticabile limpidezza intellettuale.